La verità rivelata attraverso il simbolo.

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L’unico modo che ho per scoprire dove sia l’uomo invisibile e sapere che forma ha, è quello di gettargli un secchio di vernice addosso. Nel momento in cui l’ho ricoperto di vernice non ho fatto altro che scoprirlo. L’uomo invisibile è tale quando è nudo, quando cioè non è ricoperto da nulla. Ma nel momento in cui si presenta così com’è esso non è visibile. Rivelare la verità significa velarla di nuovo, metterle cioè indosso un qualcosa che la ricopra e che in tal modo me ne mostri le forme. È chiaro che ogni tipo di velo che io userò per ricoprire e quindi paradossalmente di svelare la verità sarà un qualcosa che me la mostrerà in una determinata forma anziché in un’altra, in un determinato colore e non in un altro, ecc. ecc.

Il simbolo diventa uno dei tanti modi che io ho di ri-velare la verità. Esso è il più universale o uno dei più universali. Il simbolo è un’immagine, più che altro un’icona, e le icone nella loro essenzialità sono pertanto universali, possiamo trovarle uguali in ogni epoca e luogo. Se consideriamo il simbolismo della croce è evidente che essa non è solo appannaggio del cristianesimo ma è presente ovunque. Se consideriamo i significati ad essa dati vediamo che pur nella loro diversità essi sono convergenti. Ma ci accorgiamo che oltre alla convergenza dei significati, c’è anche una stratificazione. Dal significato più evidente, più semplice, più fruibile per ciascuno di noi, ci saranno man mano dei significati più complessi, più profondi, più esoterici, appunto, che non tutti quanti noi riusciremo a comprendere. Più siamo sottili, più sottile sarà il significato che riusciremo a cogliere. Questa diversità di significati attribuibili a ciascun simbolo è dovuta al linguaggio che essendo razionale ed aristotelico non riesce ad inglobare in se la pluralità dei significati discordanti e contrapposti, come una spada esso deve tagliare, deve separare ciò che non può presentarsi perché discordante, ma deve tagliare anche per presentarci le parti di cui è formata la complessità del tutto. Allora il linguaggio logico ed aristotelico non può più esserci d’aiuto, ci ha portato solo sull’altro lido come la barca di Caronte, ci ha consegnato ad un territorio vasto e sconosciuto per la cui esplorazione ci saranno d’aiuto altre guide. Ma dovranno venirci in soccorso anche il nostro discernimento, la nostra attenzione e riflessione. Il linguaggio è non solo aristotelico e logico ma è anche appannaggio di un gruppo che detiene il potere e che quindi non rivela a tutti la verità nuda e cruda quale essa è, sempre se questo gruppo di potere è in grado di coglierla. Molte volte gli uomini che se ne fanno custodi sono incapaci di vederla essi stessi ma devono dimostrare agli altri di ritenerla per conservare l’aurea sacrale dell’uomo di potere.

Se i significati pur nella loro diversità collimano e convergono e si presentano ciascuno in modo diverso, la forma narrativa sarà allora tra le preminenti, e quindi troveremo anche delle favole che si ripeteranno dall’una all’altra epoca e parte del mondo. Anche qui un modo non meno ingegnoso che la verità ha di riproporsi, di ri-velarsi sotto altro velo e quindi di mostrare di essa un aspetto che prima non sarebbe stato possibile comprendere. Gli Arcani maggiori e minori, con questo mio progetto teatrale esoterico, sono allora ri-velati in forma narrativa, si trasformano in archetipi narrativi, mostrando, sciogliendo, nascondendo, ri-velando in altra forma i loro fascio di significati attraverso la complessità della narrazione. Ancora una volta il simbolo non rivela alcuna verità rivelata e nascosta e quindi appannaggio di una classe di potere, ma stimola le nostre considerazioni, le nostre riflessioni, facendo si che siamo ognuno di noi a trovarla, a ri-velarla. Ognuno di noi sarà responsabile del significato che vi ha trovato.

La strana leggenda che si racconta sul Cristo velato della Cappella San Severo, secondo cui il velo che avvolge il corpo di Cristo sarebbe fatto di una speciale sostanza che distesa come un velo sul corpo scolpito del Cristo deposto si sarebbe poi solidificata assumendo le sembianze la consistenza fisica del marmo e che avrebbe reso trasparente il tutto è smentita non appena si vede il capolavoro di scultura dello scultore napoletano Giuseppe Sammartino. Purtuttavia essa risulta indicativa del fatto che abbiamo detto prima: l’impossibilità di riconoscere l’immagine dal velo che la ricopre, di riconoscere il velo nella visione dell’immagine, di riconoscere cioè lo strumento gnoseologico che permette di ri-velare la verità. È come se questo velo rendesse visibile il Cristo nel momento in cui lo nasconde. Non concepiamo che sia un unico marmo scolpito a renderci la visione complessiva del corpo del Cristo morto, sia nelle sue parti visibili che in quelle nascoste. Non riusciamo ad entrare nel0idea che ciò che vediamo nella realtà e ciò che non vediamo sia in realtà una sola ed unica immagine e che il visibile l’invisibile, l’intelligibile e l’inintelligibile, costituiscono la complessiva immagine della nostra verità perché ciò che non comprendiamo mette in evidenza ciò che comprendiamo in una determinata luce, e quel che vediamo ci nasconde quel che non vediamo perché appaga e non stimola il nostro sguardo a spingerci più in fondo. E non capiamo quanto il velare il Vero sia in realtà l’unico modo per percepirlo.

Giuseppe De Chiara

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