DA mettere in fbuno spettacolo scritto da Giuseppe De Chiara

con le musiche di Stefano Busiello

direzione artistica Lucia Oreto

per la regia di Giuseppe De Chiara 

che andrà in scena 

dal 4 al 6 dicembre 2013

a Napoli nella bellissima chiesa barocca di san Biagio maggiore, a via san Gregorio Armeno

con due performances al giorno una alle 17,00 e un’altra alle 19,00,

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Pulcinella e le sue maschere di Ulderico Pinfildi

Lo spettacolo avrà luogo nella Chiesa barocca cinquecentesca di San Biagio maggiore che si affianca alla Chiesa di san Gennaro all’Olmo, sede della prestigiosa fondazione Giambattista Vico, in via san Gregorio Armeno, all’angolo con via san Biagio dei Librai.

La Chiesa di san Biagio maggiore si pone all’intersecazione tra il cardine centrale della Napoli greca con il decumano inferiore.

Siamo al centro del centro storico.

Questo spettacolo vuole segnare il ritorno di un teatro che è diventato il simbolo di una tradizione napoletana incarnato nella maschera di Pulcinella, una tradizione napoletana che è stata via via persa e distrutta, Il Teatro san Carlino che Lucia Oreto intende far rivivere e che rifonda e che rinomina Il Nuovo Teatro san Carlino.

La vicenda storica dello storico teatro san Carlino è emblematica. Il teatro che fu la sede dell’ultimo grande attore Ottocentesco Antonio Petito, venne distrutto negli anni Ottanta dell’Ottocento quando per costruire il Corso Umberto che i napoletani chiamano il Rettifilo, si distrussero tutti i monumenti che esistevano in quel caotico labirinto di malsane viuzze. Vennero distrutte moltissime chiese antiche e venne distrutto anche il teatro san Carlino, memoria della nostra città. Proprio dopo l’Unità d’Italia. Proprio nello stesso periodo in cui veniva asfaltata la marina di santa Lucia.

Vogliamo quindi con questo spettacolo iniziare un percorso su Pulcinella per tentare di sottrarlo al tentativo (riuscito? staremo a vedere) di distruggerlo.

Si dice che l’ultimo Pulcinella sia stato Salvatore De Muto morto nel 1970 che si era già ritirato dalle scene nel 1954.  Ma è stato di sicuro un Pulcinella nostalgico, piangente, malinconico.

Quanta differenza con quello diabolico di Antonio Petito, tanto diabolico da essere buon amico del diavolo che se lo porta a spasso col suo sorriso ambiguo ed ammiccante.

Autore e regista dello spettacolo è Giuseppe De Chiara anche in veste d’attore nella maschera di Pulcinella, le musiche inedite sono del M° Stefano Busiello, le coreografie sono di Floriana Cafiero, la direzione artistica è di Lucia Oreto che è qui anche in veste d’attrice nella parte di Carmosina, la fidanzata e promessa sposa di Pulcinella.

Vocal Coach d’eccezione è il maestro Sabatino Raia, baritono, prima allievo e poi collega di Ugo Savarese, di Maria Callas e di Renata Tebaldi, il trittico del bel canto italiano.

Ambientata nella Napoli del 1765 o giù di lì, di cui lo scultore Ulderico Pinfildi ci ha fornito materia per liberamente ispirarci visivamente nella scelta dei costumi e degli allestimenti scenografici che sono stati offerti dalla ditta Gallinaro snc dal 1926, l’opera è una riscrittura di due testi sette-ottocenteschi:

  1. Il Pulcinella vendicato nel ritorno di Marechiaro” opera buffa settecentesca rappresentata al teatro dei Fiorentini a Napoli nel 1769 (anche se scritta 4 anni prima) con libretto di Francesco Cerlone e musiche di Giovanni Cataldo Paisiello, che lo stesso Cerlone riscrisse agli inizi dell’Ottocento come commedia;
  2. Gli incanti delle maghe per la nascita di Pulcinella dalle viscere del Monte Vesuvio”, commedia in tre atti di Giacomo Marulli che però è la riscrittura di un antico testo di autore anonimo, di cui è incerta la data di composizione.

La riscrittura ha unito i due testi, e li ha reinventati completamente utilizzando il Pulcinella vendicato di Cerlone e Paisiello come canovaccio; mentre dell’altro testo è stato riscritto l’inizio che rappresenta la nascita di Pulcinella dal Vesuvio per opera e intercessione delle sacerdotesse di Plutone, trasformato in un pezzo rock cantato da Virgilio mago che è il celebrante del rito della nascita di Pulcinella.

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una creazione di Ulderico Pinfildi

LA TRAMA

La trama è semplice. Pulcinella (Giuseppe De Chiara) ama Carmosina (Lucia Oreto) ma di essa si innamora don Camillo (Pierfrancesco Di Mauro), viaggiatore romano venuto a Napoli, che è fuggito dalla sua promessa sposa Claudia (Giulia Spena) la quale, senza darsi per vinta, giunge a Napoli insieme con Marioletta (Rossella Carella), sua servitrice.

Anche quest’ultima è stata sedotta e abbandonata proprio da quello stesso Coviello (Ernesto Santoro) che, amico di Carmosina, don Camillo ha assoldato per convincere costei a lasciare Pulcinella per poi sposarlo.

E i maneggi di Coviello hanno buon esito: Carmosina alfine sposa don Camillo, angustiata dalle infedeltà e dalla frivolezza di Pulcinella.

Ma la vendetta non si fa attendere. Il mago Virgilio (Rolando Giancola) appare a Pulcinella e decide di vendicarlo, proprio quel Virgilio cui il popolo napoletano attribuì molti bellissimi prodigi che salvarono la città da momenti di gravi difficoltà e che a Napoli soggiornò per ben vent’anni su quell’isolotto di Megaride dove ora vi è Castel dell’Ovo, e dove un tempo sorgeva la villa di Lucullo; il Virgilio, autore dell’Eneide delle Georgiche e delle Bucoliche, è colui che ha accompagnato Dante nei regni oltremondani, e che nella tradizione antica e medievale colta popolare cristiana è diventato il mago.

Costui insomma appare a Pulcinella a Claudia e a Marioletta e decide di fare le vendette del trio. Introdottisi nella casa di Coviello e Carmosina che probabilmente hanno già consumato il matrimonio e che stanno con Coviello che fa da maggiordomo costoro completamente invisibili avranno modo di vendicarsi senza pietà sui tre fedigrafi.

La gustosissima gag che conclude lo spettacolo, in cui si elimina il canto di riconciliazione delle tre coppie, segna un finale che può avere diversi significati.

Note di drammaturgia.

È uno spettacolo che nasce grazie allo stimolo di Lucia Oreto che mi propone di scrivere un testo che abbia a protagonista Pulcinella dopo che mi aveva visto indossare tale maschera.

Nella mia carriera di autore attore regista, Pulcinella è stato un personaggio maschera persona che ho sempre evitato di vivere interpretare scrivere.

Eppure, poche settimane prima di incontrare Lucia, avevo indossato tale maschera, ed era accaduta la magia: il rituale sciamanico era stato messo in moto, la maschera mi aveva trascinato dentro di sé, aveva permeato tutto il mio corpo e la mia anima, aveva plasmato i miei gesti e la mia voce.

È questa un’immedesimazione di tipo sciamanico ed animistico che avvicina l’attore al sacerdote di religioni arcaiche che vivono solo in comunità di marginali, operazione che pochissimi attori sono capaci di attuare, e che non è detto che possa ripetersi.

Per me è stata una scoperta incredibile, per me che credevo che la maschera fosse l’estremo della più rancida finzione di guitti da quattro soldi, che una volta messi la maschera di Pulcinella riescono solo a fare nguè nguè uhè uhè e a mangiare i maccheroni dal cartoccio, cose che possono attrarre i turisti o un pubblico di bassa lega.

Probabilmente per tantissimo tempo è stato così: Napoli, non essendo più capitale di un regno autonomo e avendo perduta la propria identità, ha anche perso la propria forza sciamanica.

Alcuni hanno detto che è la più nordica delle città africane, come diceva il personaggio del cieco che Gassman interpretava in “Profumo di donna”, battuta che molti ripetono senza neanche saperne l’origine. Città africana, benissimo, se questo comporta la capacità di attingere e controllare forze profondissime ed oscure.

Napoli, città al centro del Mediterraneo, il mare che ha fuso dentro di sé l’Europa, l’Asia e l’Africa, centro del mondo in cui trova piena vita quel continente euro-asiatico-africano, concetto che i moderni geografi sostituiscono ai tre vetusti di tre continenti separati, e che invece tra di loro non trovano alcuna barriera.

L’operazione di riscrittura che mi sono trovato a svolgere è stata la fusione di due testi già esistenti. C’è un testo principale che è il Pulcinella vendicato nel ritorno di Marechiaro,  un libretto per musica scritto da Francesco Cerlone con musiche di Giovanni Cataldo Paisiello che viene rappresentato nel 1769 a Napoli al Teatro de’ Fiorentini.

Lo stesso Cerlone ne fece poi ad inizio Ottocento un testo di commedia, probabile segno forse della decadenza verso cui si avviava l’opera buffa settecentesca.

Il mio Pulcinella vendicato è invece un testo per commedia in cui vi sono inserite parti cantate, quindi arie e cavatine ma senza recitativi, con musiche originali del maestro Stefano Busiello.

È chiaro che riscrivere un testo è un’operazione di ri-creazione, e in questo caso tale atto ha trovato la sua ragion d’essere nel momento in cui un libretto doveva essere trasformato in un testo di commedia.

I personaggi dovevano acquisire psicologie più definite e credibili, i recitativi devono assumere più spessore perché saranno adesso non più cantati ma recitati. Al tempo stesso, però, ritengo che ci deve essere sempre una continuità tra il testo cantato e il testo recitato e che quindi anche quest’ultimo debba avere una sua musicalità ed una sua ritmica e che quindi debba anch’esso essere scritto in versi o in una prosa ritmica.

Riscrivere le arie e le cavatine è un’azione di riscrittura che mi è venuta naturalmente nel momento in cui la parte in prosa era cambiata e i personaggi, assumendo dialoghi più corposi, non potevano limitarsi a cantare arie che erano generiche e intercambiabili e che migravano da un’opera all’altra, e di cui la musica a volte cambiava e a volte restava invariata.

Questo fa capire l’opera di montaggio e di smontaggio di pezzi tra di loro intercambiabili e la convenzionalità di tali arie, cavatine, trame, personaggi e situazioni. La riscrittura delle arie non è però in stile moderno ma in stile sette-ottocentesco, ricreando strutture ritmico-poetiche dell’epoca ma più calzanti alla situazione della riscrittura complessiva, pur dando ad esse una certa aria di convenzionalità e di autonomia, giocando insomma con l’essere dentro e fuori la struttura e la trama dell’opera.

Ho poi voluto che ci fossero delle brevissime screpolature in cui si potesse intravedere l’opera originale.

Ben due pezzi originali sono stati lasciati intatti: il duetto tra Pulcinella e Carmosina Gioia de st’arma mia, e l’aria di Pulcinella Chi ha visto la moglierella, riscritti però nell’arrangiamento da Stefano Busiello che pur senza alterarne la melodia ne ha fatto però qualcosa di altro; e poi ben due piccoli pezzetti di recitativi immessi qui come pezzi in prosa che, inseriti e attribuiti a personaggi diversi o agli stessi personaggi, ma recitati con altro registro e immessi in una struttura totalmente modificata, cambiano completamente senso pur restando invariati nelle parole e nelle battute.

Così il recitativo di Carmosina, quando civettuola chiede a don Camillo se le darà carrozze e villeggiature, è diventato il pezzo in prosa di una donna che rassegnata sposa l’uomo che non ama e con distacco chiede di queste cose per nascondere il dolore di aver abbandonato l’uomo che ama.

Un solo testo, però, non poteva bastare per riscrivere Pulcinella e ho voluto anche inserirne un altro: Gli incanti delle maghe per la nascita di Pulcinella dalle viscere del Monte Vesuvio, commedia in tre atti di Giacomo Marulli che però è la riscrittura di un antico testo di autore anonimo, di cui è incerta la data di composizione.

Nel testo in questione si narra di come due donne, Dragoncina e Colombina, che qui figurano anche come sacerdotesse o diremmo noi streghe, per salvare il loro padrone dalla sconfitta di una guerra da cui rischia di essere ucciso, si presentano al signore degli inferi, Plutone, e gli chiedono di salvarlo.

Plutone non è per nulla adirato contro di esse, anzi, è ben disposto verso le donne, che essendo coloro che causano la perdizione degli uomini, hanno fatto in modo che il suo regno sia ben affollato.

È quindi propenso ad aiutare le due donne maghe streghe supplici che a lui si sono presentate e a creare il diabolico Pulcinella con l’aiuto di queste due sue aiutanti che avendo carta bianca da Plutone, mediante la sua intercessione, mettono mano alla creazione di Pulcinella.

Pulcinella viene fatto nascere addirittura dalle bestemmie dei giocatori che le due sacerdotesse gettano nel cratere del Vesuvio, assieme ad un occhio che uno di questi perse con una di loro a zecchinetta; e insieme vi si getta la rabbia che le femmine brutte e non curate da nessuno provano nei confronti del mondo.

È il Vesuvio che come Atanor o forno alchemico naturale farà uscire da esso un uovo, un uovo bianchissimo, la pietra filosofale che è venuta fuori dopo la nigredo e la rubedo rappresentate dalla notte, dagli inferi di Plutone, dalle bestemmie dei marginali (i perdenti e le donne brutte), e dai lapilli e dal fuoco rosso del Vesuvio; si approda finalmente alla albedo che sopraggiunge proprio all’alba di cui il bianco immacolato dell’uovo e il bianco del camicione di Pulcinella ne sono un ulteriore segno così come la maschera è il segno della nigredo e la maglia rossa  e le sue calze che sono sotto il camicione sono il segno della rubedo.

Fuori da quest’uovo uscirà Pulcinella che prima però pulsa come feto dentro una membrana trasparente.

Altre versioni dicono che l’uovo da cui nasce Pulcinella sia l’uovo della sirena Partenope deposto da costei prima della sua morte.

L’originaria leggenda delle sirene le vuole donne-uccello e non donne-pesce e narra che dall’uovo che esse depositavano, nascessero gli ermafroditi, o i femminielli, e Pulcinella è appunto un essere nato dall’uovo di una sirena, ed è appunto un ermafrodita, un essere dotato di un fallo enorme ma che partorisce da sé i suoi figli.

Sappiamo però molto bene anche quanto l’uovo sia legato al mito virgiliano, il Castel dell’Ovo, appunto, perché in esso, in epoca ducale, vi era stato messo un uovo sospeso sopra l’altare della cappella basiliana del Salvatore.

L’usanza di consacrare un uovo di struzzo come uovo cosmico, come punto zero della creazione da cui avrebbe avuto origine il cosmo che poi morendo rompendosi avrebbe dato luogo ad un altro uovo in una storia senza fine di morti e di rinascite è propria della mistica orfica e di tutte le mistiche orientali che la chiesa bizantina avrebbe fatto proprie.

L’uovo è il prodotto di pennuti che secondo la tradizione sono animali cari a Proserpina la regina degli Inferi, moglie di Plutone.

L’Ade dei pagani non deve essere visto come punto in cui la vita finisce.

Credendo costoro nella dottrina della reincarnazione, questo luogo è solo un punto di passaggio sospeso tra una vita e l’altra e al di fuori del dramma del tempo e della storia.

E con la consacrazione dell’Uovo cosmico, Virgilio vuole tener fuori Napoli dai drammi della Storia.

Virgilio è colui che dai dottori della chiesa è ritenuto essere chi ha attuato il passaggio tra paganesimo e cristianesimo nel momento in cui avrebbe insieme alla Sibilla cumana previsto la nascita del Cristo.

Ed è proprio Virgilio e l’Uovo cosmico che aprono la commedia in una scena di rock satanico in cui Virgilio diventa la rock star vestito in fogge settecentesche rievocando l’enfant terrible di mozartiana memoria, il diabolico don Giovanni. A questo pezzo, senza soluzione di continuità, segue il duetto Gioia de st’arma mia che il M° Stefano Busiello, pur senza alterarne, la melodia riscrive in 5/4 dando ad esso un ritmo jazzistico.

Perché una locandina così criptica?

La figura della Sirena alata e dell’ouroboros con dentro il feto del Pulcinella ermafrodito è stata disegnata dal maestro Luigi Angelone sotto le dirette indicazioni di Giuseppe De Chiara.

Le ricerche iconografiche che ho compiuto su Virgilio e sulle sue leggende mi hanno portato a focalizzarmi su tre simboli che più di tutti si stagliano nella sua operatività di mago: l’ouroboros, o il serpente che divora se stesso e che continuamente nasce dalla bocca che lo divora, simbolo che la leggenda vuole come sigillo sulla copertina del Libro del Comando, l’Ars Notoria, l’antico grimoir da cui Virgilio trae le sue arti magiche; il pentagono o anche la stella a cinque punte tracciata nel cerchio magico in cui Virgilio opera; la chimera che è al centro dell’ouroboros e che alcune rappresentazioni iconografiche l’apparentano all’ouroboros; la sirena come donna uccello che in questo suo metamorfismo congenito e congelato si apparenta alla chimera; e soprattutto l’Uovo cosmico da cui nasce Pulcinella.

In alcune rappresentazioni l’ouroboros diventa anche la chimera o il drago. Ma  ricordiamoci che il drago, il serpente e il coccodrillo, e la chimera sono animali fantastici e intercambiabili l’uno nell’altro in una zoologia mitologica e fantastica e tutti hanno la stessa forza di morte e di rigenerazione.

Se analizziamo le leggende medievali di Virgilio, capiamo bene che il modo in cui Virgilio opera appartiene ad una magia imitativa o a una medicina omeopatica.

Virgilio è secondo la leggenda colui che con una sua donazione libera permette che le terme ritornino in auge e in questo è osteggiato violentemente dai medici che preferiscono prescrivere i loro farmaci: la lotta tra la termoterapia e la farmacopea, tra un metodo di cura che individua nei vapori e nelle acque della terra la cura naturale per ogni malattia e un’altra concezione medica che invece individua nella preparazione e nella commercializzazione del farmaco la cura per ogni malattia sono i termini dello scontro che agiscono all’interno di questa stessa leggenda.

Ricordiamoci che Virgilio per scacciare animali nefasti, utilizza lo stesso animale, fatato e fuso in oro o in altro materiale: per scacciare le mosche egli usa una mosca d’oro, per scacciare la sanguisuga gigante egli utilizza una sanguisuga d’oro, per scacciare il male che deriva da qualcosa egli utilizza la stessa cosa ma cambiata di segno.

Come risulta anche dalla leggenda di Porta Ventosa dove la figura di Eolo che soffia in una tromba serve a reindirizzare i venti dal mare da cui sono venuti, che è poi la stessa iconografia che il cristianesimo utilizza per l’angelo del Giudizio.

Per distruggere qualcosa Virgilio non utilizza un’entità estranea, ma utilizza la stessa forza cambiata di segno che da distruttiva diventa rigenerante e che è poi dentro di noi.

L’ouroboros ha lo stesso principio: il serpente non solo divora se stesso ma nasce dalla stessa bocca che lo divora, si genera eternamente dalla stessa bocca che lo fagocita. La bocca è fonte di morte, mangia il serpente, il serpente che gli è nemico, ma quel nemico è la stessa bocca, ma mangiando se stesso il serpente acquista forza e si autorigenera.

Siamo sempre nell’ambito della morte e della rigenerazione, ricordiamo che la parola greca farmaco indica sia medicina che veleno e che il veleno del serpente serve anche a creare delle potentissime medicine.

Ma se al serpente gli metti la cresta di un gallo tutto ciò diventa fortemente evocativo.

Vorrei aggiungere solo un’ultima cosa. Quando Lucia Oreto mi propose di scrivere un testo su Pulcinella io non sapevo che la Chiesa di san Gennaro all’Olmo che affianca ed è unita alla Chiesa di san Biagio maggiore fosse un luogo virgiliano. L’ho scoperto solo dopo aver scritto un testo in cui Pulcinella e Virgilio si trovano insieme per la prima volta.

Potenza degli archetipi.

Napoli settembre ’13                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           Giuseppe De Chiara

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